La crisi che ha colpito a livello mondiale ha coinvolto anche la Russia, portando con sé, fra l'altro, anche l'indebolimento e lo stravolgimento degli istituti e dei valori che erano alla base del concetto di famiglia.
Anche qui si nota un divario fra le classi più ricche e quelle meno abbienti: queste ultime, a causa dei licenziamenti di massa che si stanno verificando, del calo della produzione e della diminuzione dei redditi, ricorrono frequentemente alla costituzione di un unico, grande nucleo familiare formato da individui di diverse generazioni, secondo il principio che vivere insieme, in un'ottica tesa al risparmio, risulta più economico, permettendo di suddividere le spese.
A questo scopo, come rileva il quotidiano Kommersant, si vanno profilando diverse strategie finalizzate alla riduzione dei costi: molti rimandano la nascita dei figli, alcuni non ne vogliono per niente, altri ricorrono al divorzio, mentre, per contro, vi è chi sceglie deliberatamente di condividere l'alloggio con altre persone per risparmiare sull'affitto. La Scuola Superiore di Economia (VShE), invece, fa notare che vanno diffondendosi abitudini fino a tempi recenti del tutto estranee al costume russo, fra le quali, ad esempio, possono essere annoverati il guest marriage (un vero e proprio matrimonio contratto da persone che scelgono di vivere separatamente) e il cosiddetto LAT (Living Apart Together), forma di legame che, nella coppia, prevede un rapporto di tipo esclusivamente intimo.
La storia russa, come del resto quella di altri Paesi, ha visto mutare diverse volte la struttura dei nuclei familiari: dagli anni '60 agli '80, caratterizzati da una stabilità socio-economica, il numero dei componenti il nucleo si è andato riducendo, poiché le giovani coppie potevano permettersi di avere un proprio appartamento e di vivere quindi separate dalle famiglie di origine. Negli anni '90, in seguito al discioglimento dell'URSS e all'incertezza susseguitagli, la tendenza tornò ad essere quella a riunire in un'unica abitazione rappresentanti di diverse generazioni. In anni recenti, invece, a partire dal 2000, si era osservata nuovamente una riduzione dei componenti del nucleo familiare.
Attualmente la situazione, nelle famiglie, sembra ricalcare il modello degli anni '90. Questa scelta presenta determinati vantaggi: in primo luogo, così come il vero e proprio matrimonio in cui si vive sotto lo stesso tetto, la convivenza consente di ridurre sensibilmente le spese per la vita di tutti i giorni; inoltre, il poter contare su altri membri del nucleo familiare rappresenta un'assicurazione sui generis contro la disoccupazione, permettendo così, per esempio, ad uno dei due coniugi di vivere dello stipendio dell'altro in caso di perdita del lavoro; infine, il non vivere da soli rappresenta un importante sostegno psicologico ed emozionale per chi, in questo modo, ha la possibilità di beneficare dell'appoggio del coniuge e dei parenti.
D'altro canto, però, a questa tendenza al compattamento potrebbe fare da contrappunto il fenomeno inverso, quello cioè dell'aumento dei divorzi e della dissoluzione, quindi, del nucleo familiare; in tempi di crisi, infatti, vengono messe a nudo tutte le problematiche, incluse quelle interne alla famiglia. Gli psicologi si dicono convinti che crescerà la percentuale di coppie che si separeranno, così come quella di coloro che sceglieranno di rinunciare alla vita matrimoniale. Quest'ultima tendenza viene rilevata soprattutto nei ceti più ricchi della popolazione, poiché coloro che li compongono risultano essere i meno propensi alle costrizioni del vincolo del matrimonio, nonostante cresca la domanda nei confronti dei cittadini benestanti. Si osserva quindi in questa fascia un fiorire di varietà di legami poligamici: moglie più amante, moglie per un mese, promiscuità, etc.
Della situazione generale risentono, come c'era da aspettarsi, anche gli indici demografici: si prevede che, sempre a causa della crisi, nasceranno ancora meno bambini: un buon 5% di russi si attiene ad una filosofia di vita child-free, mentre l'età media delle partorienti, che per mettere in cantiere un figlio attendono di aver raggiunto una certa stabilità economica, va aumentando: si diventa mamme, in media, intorno ai 25-29 anni, mentre il maggior numero di nascite si attesta nelle donne di 30-34 anni; quelle che partoriscono dai 20 ai 24 anni occupano il terzo posto in questa classifica. Gli analisti spiegano questo fenomeno rifacendosi al fatto che i figli rappresentano un investimento che a lungo termine può certamente rivelarsi vincente; così è stato fino all'introduzione del nuovo sistema pensionistico. Ma la crisi non è un buon periodo per fare un tipo simile di investimenti, soprattutto se questi richiedono ingenti spese iniziali.
Mosca, Chiara Caccialanza, Zoja Oskolkova
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