L'amministrazione della rete sociale Facebook ha bloccato per una settimana la pagina del famoso giornalista e blogger russo Maksim Kononenko dopo che lui avesse pubblicato un brano della poesia di Puškin «Moja rodoslovnaja» («La mia genealogia»), dove è utilizzato il termine «chochly» (ciuffaroli).
L'amministrazione del colosso social ha chiarito che la pubblicazione del brano del grande poeta russo non è conforme alle regole di civile comunicazione. Da far notare che nella poesia «Moja rodoslovnaja», scritta durante l'autunno di Boldino il 3 dicembre 1830, il sommo poeta russo Aleksandr Puškin racconta la storia della propria genealogia familiare nel contesto generale della storia russa.
Pochi giorni prima della citazione di un brano tratto da una poesia di Aleksandr Puškin , per l'uso della parola «chochol» (ciuffarolo) è stato bloccato per una settimana anche l'account del blogger e scrittore Eduard Bagirov. Nel suo post Bagirov ha confrontato i russi con gli «chochly disgraziati» (disgraziati ciuffaroli) citando esempi storici, e ha scritto che la principale differenza tra ucraini e russi è che in Russia il generale traditore della Patria passato dalla parte dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, Andrei Vlasov è considerato un traditore, mentre i leader dell'Organizzazione dei nazionalisti ucraini Stepan Bandera e Roman Shukhevych, collaboratori dei tedeschi, sono «eroi nazionali» in Ucraina.
Nel frattempo i filologi russi hanno ricordato a Facebook, che la parola «chochol» (ciuffarolo) non è un insulto. Anzi, si può trovare questa parola anche nelle opere di grandi classici. Aleksandr Puškin aveva scritto: «Non facevo arrampicatore sociale, passando dai chochly (ciuffaroli) ai principi...». Anche il premio Nobel per letteratura russo Ivan Bunin aveva usato la parola derivata dalla stessa radice: «Già la casupola dei chochly (ciuffaroli) faceva l'effetto per la sua bianchezza, il suo tetto piatto, piano, coperto con tronchi di canne della palude».
La parola «chochol» (ciuffarolo) prende la sua origine dai cosacchi di Zaporozhye, i quali nei tempi remoti si rasavano la testa, lasciando solo una ciocca di capelli raccolti in una coda di cavallo (ciuffo, da qui il soprannome storico dei cosacchi ucraini «ciuffaroli»). Nell'antica Rus' di Kiev questo ciuffo poteva significare l'appartenenza ad una famiglia nobile. In particolare, si è conservata la descrizione bizantina dell'aspetto del principe Svyatoslav Igorevich, dalla quale si può dedurre che lui portava l'oseledets (ciuffo in russo antico e in ucraino moderno): «La sua testa era completamente pelata, ma da un lato pendeva una ciocca di capelli, il segno della nobiltà».
Nel XIX secolo in Siberia la parola «chochly» (ciuffaroli) non si riferiva soltanto agli ucraini, ma anche ai bielorussi e agli immigrati russi dalle regioni meridionali della parte europea della Russia. Secondo il censimento della popolazione della Federazione Russa condotto nel 2010, le 2048 persone si sono definiti nei questionari al riguardo alla loro appartenenza etnico-nazionale come «chochly» (ciuffaroli).
In uso corrente questa parola viene usata dai russi per indicare gli ucraini, ma, si vede, che a loro questo sopranome non piace tanto. In relazione a ciò sorge una domanda: cosa devono fare le persone che portano questo cognome? Il quotidiano russo «Moskovsky Komsomolets» (MK) ha contattato un certo Sergei Chochol, uno studente dell'Accademia Russa dei Trasporti. Il ragazzo ha detto che il suo cognome non gli dà alcun fastidio e non si vergogna di registrarsi con il proprio cognome anagrafico nelle reti sociali. «Non mi sono mai vergognato del mio cognome! Anzi, sono orgoglioso di esso. Sono di nazionalità ucraina, e il mio cognome mette in evidenza la mia appartenenza alla comunità ucraina. Un uomo normale non dovrebbe mai vergognarsi delle proprie radici e nazionalità» – ha detto Sergei. A quanto pare, gli altri ucraini hanno dimenticato la loro storia, se una semplice menzione della parola «chochol» (ciuffarolo) (nemmeno nel contesto ucraino) viene considerata non conforme alle norme della società civile.
Mosca, Zoja Oskolkova, Svetlana Petrova
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